sabato, Luglio 27, 2024

Volontariato in Zimbabwe

Volontariato in Zimbabwe.

Buongiorno Ottobre!
Così dopo una bellissima estate e un meraviglioso Settembre diamo il benvenuto al nuovo mese. La rubrica #iovolontarionelmondo non si ferma e oggi ospita la storia di Alessio che mi ha scritto per condividere con Viaggio AnimaMente la sua esperienza di volontariato in Zimbabwe.

Conosciamolo insieme.
Sono Alessio, ho 31 anni e vivo in Trentino. Sono sposato dal 2007 con Manuela, e abbiamo due bambine di 2 e 4 anni. La nostra passione più grande sono da sempre le montagne trentine. Le nostre dolomiti e i vari gruppi montuosi delle nostre zone, le abbiamo girate in lungo e in largo appena ne avevamo la possibilità. Non avendo mai viaggiato quindi, il viaggio di nozze per noi rappresentava una grande occasione. Così andammo a Yellowstone, in tenda, per 2 settimane, compiendo trekking e meravigliose gite nella natura nord americana. La terza settimana, invece sempre on the road e tenda, ci portò nei parchi del sud. Questo ci aprii gli occhi, facendoci scoprire che c’era dell’altro fuori dal trentino. Così nel 2008, per due settimane sempre on the road e tenda, andammo nel British Columbia e nei suoi meravigliosi parchi per trekking sopratutto nel Bnaff e Jasper NP. Il 2009 fu la volta dell’Africa, sempre in tenda per poter star più a stretto contatto con la natura e la terra, fu la volta di Kenya e Tanzania…un viaggio che, oltre per le bellezze naturalistiche, cambiò la nostra vita, e così al ritorno dopo qualche mese lasciammo il lavoro per cercare un’esperienza di vita.
Volontariato in Zimbabwe
Ed ora che abbiamo le idee chiare su Alessio lasciamo a lui la parola e facciamoci raccontare la sua esperienza di volontariato in Zimbabwe!

Perché questa scelta?
Abbiamo fatto questa scelta perché volevamo vivere un’esperienza “diversa” dalla solita vita italiana. La nostra idea era quella di fare un’esperienza piuttosto lunga, per renderci conto di cosa vuol dire vivere in certe circostanze.
Volontariato in Zimbabwe
Ci riteniamo due persone fortunate, e volevamo mettere a disposizione un periodo della nostra vita al servizio del prossimo, e vedere cosa ne usciva, ma sopratutto cosa avremmo imparato noi, perché sono convito che si va aiutare gli altri per aiutare se stessi.

Avete faticato a trovare un contatto?
Diciamo che dopo 6 mesi di telefonate, incontri e-mail ci stavamo per arrendere. Abbiamo contattato circa 200 onlus italiane che lavorano in Africa in paesi parlanti inglese. Oltre che ONG e fondazioni. Dicendo a tutti che ci volevamo candidare per lavorare per i loro progetti in solo cambio di vitto e alloggio. Non essendo sanitari, e non lavorando nel settore, molti non erano scontati. Alcuni ci richiedevano soldi per poter fare l’esperienza, ma molti non hanno mai risposto. Non capivo come era possibile non trovare, con tutto il bisogno che c’è, qualcuno da aiutare. Poi per fortuna, quando meno te lo aspetti trovi quello che cerchi: ma che fatica.

Perché non è facile trovare?
Col senno del poi ho capito. Molte ONLUS non hanno le condizioni o le strutture per poter affrontare anche per un breve periodo una richiesta del genere “a lungo termine”. I missionari o i referenti locali sono spesso oberati di lavoro, e star dietro a delle persone nuove può essere un peso maggiore che molti non vogliono affrontare. Molti enti ricercano personale qualificato e se non si rientra in quello che la domanda-offerta chiede è dura. Poi, anche perché in Africa, le persone locali sanno lavorare benissimo e molta gente è preparata, e quindi non servono persone “extra” dall’Europa. Chiaro dipende poi da ogni situazione e da ogni progetto e come il tutto è organizzato.

Destinazione?
La scelta della destinazione è stata legata alla lingua. Credo che sia la difficoltà maggiore, almeno per noi che a stento parlavamo un po’ di inglese. Quindi il dover imparare una lingua diversa sarebbe stato complicato. Di sicuro sapevamo che volevamo andare in Africa e quindi il campo si è ristretto maggiormente. Tramite conoscenze e fortunati eventi, ci siamo messi in contatto con un medico missionario dello Zimbabwe, che proprio in quel periodo era oberato di lavoro e gli serviva una mano.
Poi ci siamo informati sul Paese, abbiamo letto la sua storia, la situazione attuale e le condizioni della popolazione con i problemi che avevano e il tutto ci attirava moltissimo. Abbiamo comunque lasciato al caso e al susseguirsi degli eventi, la giusta direzione da prendere.

Obiettivo dell’esperienza in Zimbabwe?
Siamo scesi in Zimbabwe praticamente a tempo “indeterminato”, ovvero la nostra scelta di andare in questo Paese è stata anche data dalla possibilità di non avere un termine o delle date predefinite ai progetti. Siamo andati in autonomia ma collegati a dei progetti predefiniti. Questo ha sicuramente influito sugli obbiettivi. All’inizio, destinati in orfanotrofio, era capire le problematiche, gestire i rapporti con i gestori e cercare di migliorare la vita dei bambini ospitati facendo report e mandando informazioni in Italia ai donatori.
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Poi, quando siamo stati mandati all’ospedale missionario, gli obbiettivi erano: sistemare e dare una linea guida all’amministrazione inserendo un sistema più appropriato per quanto riguarda mia moglie, ed io seguire la logistica i magazzini, i rifornimenti e la manutenzione dell’ospedale garantendo poi un metodo che potesse andare avanti da solo. Infine coordinare e gestire la costrizione di piccole casette per il personale e ristrutturare alcune aree e ambulatori.

Con quale associazione siete partiti?
Siamo partiti in autonomia, gestendo la situazione per conto nostro prendendo i contatti direttamente con gli enti locali e con i medici.
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Non percepivamo uno stipendio e quindi un’associazione trentina si è resa disponibile a gestire le nostre spese primarie e i primi contatti. Ci ha aiutato molto nel trovare, prima della partenza, la giusta occupazione e i giusti progetti, oltre che curare la parte di comunicazione con i medici e i missionari. L’associazione in questione è la Spagnolli-Bazzoni Onlus di Rovereto. Abbiamo poi collaborato e, ci hanno aiutato nel nostro percorso aiutandoci tuttora, la LifeLine Dolomites della Val di Fassa e la Fondazione Marilena Pesaresi di Rimini.

Quanto vi è costato questo viaggio in Zimbabwe?
Questo viaggio, non avendo un tempo predefinito e vivendo all’interno delle strutture in missione, non ha avuto un costo preciso. Non percependo uno stipendio e lavorando in cambio di vitto alloggio e spese, diciamo che domanda e offerta si è azzerata da sola. Vivendo poi lontano dalla capitale, il costo della vita non è altissimo e noi, collaborando anche con la popolazione locale fornendo “aiuti” nella quotidianità, molte volte ricevevamo frutta e verdura in cambio di piaceri e questo aiutava il nostro sostentamento.
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I costi fissi “annuali” che si devono prevedere sono il volo, l’assicurazione sanitaria e il costo del visto per il lavoro che dipendono dal paese. A noi questi costi li pagò l’associazione e si aggiravano intorno ai €2000 a testa per tutta la durata del nostro percorso.

Quanto tempo siete rimasti in Zimbabwe?
Nello Zimbabwe ci siamo stati per 15 mesi. Il tutto è stato “obbligato” dal permesso di lavoro non rinnovato. Le loro leggi sull’immigrazione sono severe. Secondo me però è stato il giusto. Nè troppo tanto né troppo poco per la nostra prima esperienza. Chiaro che se una persona ha solo due settimane di ferie e vuole fare un’esperienza simile è giusto che la faccia, ma credo che in due settimane non si è in grado neanche di rendersi conto dove si è finiti che si è già a casa.
Il primo mese o due sono dedicati al capire il tutto ed ambientarsi, ed è difficile far qualcosa. Quindi per fare un’esperienza giusta (che poi dipende dal progetto per cui si scende) credo che almeno 3-4 mesi siano da mettere in preventivo. Poi, come ripeto, dipende da troppe cose.

Quali erano le attività del vostro lavoro?
A questa domanda potrei scrivere delle ore. Le attività erano così varie che non c’è una “giornata tipo”. Il tutto dipendeva dalle emergenze che ogni giorno ci trovavamo. Io lavoravo come jolly, andando in aiuto nei settori dove c’era più emergenza o carenza. Le attività che mia moglie ricopriva erano quella all’interno dell’amministrazione gestendo, insieme alle contabili dell’ospedale, tutti i conti e le burocrazie che passavano sia dei pazienti che delle donazioni, dei costi e dei ricavi, la gestione economica e gli aiuti provenienti dall’Italia. Riordinare i conti e facendo i bilanci passati, creando un sistema che ancor oggi è utilizzato in ospedale. Le mie attività erano quelle di gestire i rifornimenti e i trasporti tra i vari centri, fornire dai magazzini centrali o comprare materie prime per i vari centri, supportando il dott. Spagnolli in questa attività. In ospedale invece, aiutavo i ragazzi a fare le manutenzioni fornendo loro tutto quello che era necessario per lavorare al meglio.
Volontariato in Zimbabwe
I ragazzi erano poi ottimi lavoratori e capaci artigiani che ancor oggi lavorano egregiamente al servizio dell’ospedale. Cercavo di gestire il flusso d’acqua dei pozzi e i rifornimenti d’acqua. Gestivo i turni ai generatori elettrici e le sue manutenzioni. Gestire i rapporti con i fornitori, dalle materie prime, alle medicine ai fornitori dei servizi. Sostituivo l’autista dell’ambulanza quando c’era emergenza, e trasportavo i pazienti negli ospedali della capitale in caso di grave emergenza e, in queste occasioni, andavo a fare i rifornimenti di varie cose da riportare in ospedale, o mi recavo negli uffici amministrativi del ministero o altri uffici per varie faccende burocratiche. La gestione poi dei rifornimenti e creare un sistema che sarebbe potuto durare nel tempo era il nostro obbiettivo primario, e le attività ruotavano nel trovare la via giusta per creare, insieme ai lavoratori, un sistema adatto e comodo a loro.

Quale aiuto concreto è necessario?
Per la mia esperienza, l’unico aiuto concreto che davvero mi rendo conto è stato di successo, è quello di condividere con loro il nostro tempo. Io ho imparato molto e loro da me. Lo stare insieme e condividere la quotidianità, è secondo me il vero aiuto che si può dare.
Volontariato in Zimbabwe

Cosa bisogna fare prima di partire per un viaggio di questo tipo?
Credo che l’unica cosa che una persona può fare prima di partire sia informarsi il più possibile sul posto, il clima, la geografia la storia e la cultura del popolo con cui andrà a collaborare. Sapendo in partenza che quello che si legge sarà solo un 10% rispetto a quello che si imparerà poi. Prima di partire sarebbe necessario individuare i progetti, gli obbiettivi e le risorse a disposizione per poter svolgere un lavoro più mirato e ottimale, visto che gli imprevisti sono così tanti, è bene poter partire con delle priorità. Infine, informarsi sulle leggi locali, su come muoversi, e imparare qualche piccola parola in lingua locale, aprirà sicuramente delle porte e faciliterà i primi passi. Prima di partire bisogna rendersi conto che si entra in questi paese come ospiti e in punta di piedi e mettersi il cuore in pace che per il primo periodo (che può essere più o meno lungo) non si farà niente ma si cercherà di capire, conoscere e ambientarsi.

Come ti sei sentito al rientro?
Domanda di riserva? Quando sono rientrato, dopo circa 15 mesi di Zimbabwe, la prima cosa che ho fatto è stato inconsciamente mettere dell’acqua a bollire per poi filtrarla in modo da poterla bere. Quando me ne sono reso conto, pochi minuti dopo, ho realizzato che tutto era finito. Il rientro è stato un turbine di emozioni, mia moglie era all’ottavo mese di gravidanza e ci era stato appena negato il rinnovo del permesso di lavoro.
Ma ad essere onesti non siamo mai rientrati. Per questo continuo a fare questo lavoro anche se ora in modo diverso. Per me, che doveva essere una semplice esperienza di vita, è stata alla fine un cambiamento radicale che ha condizionato tutto. Ammetto che i primi mesi ero triste, trovavo tutto quanto qui in Italia ridicolo e inutile. Vedevo la gente sopravvivere e non vivere, mi mancava la forte socializzazione e le tante persone che sorridevano che si incontravano per strada ogni giorno. E mi mancava la vita semplice che, senza quasi nessun comfort occidentale, facevamo. Anche il divano tuttora mi è scomodo.

Sei più ripartito per esperienze simili?
No, esperienze simili così lunghe no, ma a partire da quest’anno tornerà ad essere la mia vita. Dopo che ci hanno negato il rinnovo del permesso di lavoro, ci siamo ristabiliti in Italia, e abbiamo avuto due bimbe. Ora però ho colto un’occasione che mi si è presentata. Un’azienda locale mi ha proposto di accompagnare viaggiatori nel Paese africano, collaborando con altre aziende locali creando un viaggio tra storia, cultura e natura adatto a tutti in questo Paese. Un viaggio che vuol dare la possibilità, a chi non conosce l’Africa o ha bisogno di fare un’esperienza diversa, di viverla a stretto contatto fuori dal turismo di massa.
Volontariato in Zimbabwe
A chi necessita di capire e conoscere prima di intraprendere una nuova strada.

Grazie mille Alessio per aver condiviso con tutti noi la tua fantastica esperienza di volontariato in Zimbabwe o, meglio, la tua esperienza di vita che ti ha cambiato radicalmente 😉

Noi ci sentiamo a Novembre con un nuovo articolo. Stay tuned!

Hai fatto un’esperienza di volontariato anche tu?
Contattami e ti intervisterò nei prossimi mesi!

[Photo credits: Alessio]

Sara Boccolini
Sara Boccolinihttps://www.viaggioanimamente.it
Zaino in spalla o bagaglio a mano, prediligo i viaggi slow, green e responsabili. Amo viaggiare con l'Anima e la Mente! Travel Blogger dal 2012, pratico Yoga dal 2015 e dal 2018 sono anche la mamma di Viola.

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